Levitazione magnetica dei superconduttori: magia della fisica quantistica

Alcuni fenomeni fisici hanno un che di magico. Uno di questi è senz’altro la levitazione magnetica dei superconduttori. Basta guardare un video come questo per rimanere a bocca aperta. Dopo l’ipnosi del primo minuto subentra la razionalità o meglio la curiosità che fa chiedere: ma come funziona?

Partiamo dall’ingrediente fondamentale: un materiale superconduttore, che in condizioni normali si presenta come un comune composto o lega metallica. Se però raffreddiamo un superconduttore facendolo scendere sotto una temperatura critica (che di solito è prossima allo zero assoluto e che varia a seconda del materiale), il corpo acquista dei superpoteri. Uno di questi, per esempio, lo fa scivolare senza attrito lungo una pista metallica opportunamente magnetizzata. Si tratta dell’effetto Meissner, cioè della capacità di questo genere di materiali di respingere un campo magnetico esterno, a patto di trovarsi nelle condizioni prima descritte. Quello che succede è che le linee di forza del campo esterno non riescono a attraversarlo ma, costrette a deviare, lo avvolgono in una sorta di abbraccio magnetico. Il superconduttore oppone a sua volta un altro campo magnetico e il risultato è questa stupefacente sospensione.

Ma perché bisogna raffreddare il corpo così tanto? Che succede in sostanza a questi materiali a temperature così basse? Per capirlo il nostro sguardo deve penetrare nell’oggetto fino a osservare quello che accade su scala subatomica. Gli elettroni girano attorno ai nuclei degli atomi con movimenti indipendenti: la visione d’insieme restituirebbe un quadro piuttosto disordinato. Man mano che la temperatura si abbassa, gli elettroni vibrano sempre meno. Quando scende la temperatura fino a superare una certa soglia, alcuni materiali raggiungono un nuovo stato della materia, lo stato di superconduttore, in cui gli elettroni sono tutti allineati e sincronizzati fra loro.

In questo caso gli elettroni fanno pensare a dei musicisti d’orchestra un po’ indisciplinati che poi però poco prima di un concerto cominciano ad accordare assieme gli strumenti. Come prima si scendeva sotto una certa temperatura, così a un certo punto cala il silenzio in sala: i musicisti sono pronti, guardano tutti dalla stessa parte e al comando del direttore comincia lo spettacolo.

crediti immagine: sach 1tb/flickr

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Superconduttore


Superconduttore:
 si dice di un materiale che quando viene raffreddato al di sotto di una certa temperatura, detta temperatura critica Tc, raggiunge un particolare stato della materia caratterizzato dalla superconduttività. La temperatura critica Tc in genere è prossima allo zero assoluto (—273,15 °C) ed è caratteristica di ogni materiale.

La superconduttività è la proprietà di un materiale di opporre una resistenza quasi nulla al passaggio di corrente elettrica. Più bassa è la resistenza di un corpo meno energia viene dissipata mentre è attraversato da un flusso di elettroni.

I superconduttori hanno la capacità, nota come effetto Meissner, di espellere dal loro volume un campo magnetico esterno. Le principali applicazioni dei superconduttori si devono proprio a questo effetto e sono la risonanza magnetica MRI, la realizzazione di magneti che fanno curvare i fasci di particelle cariche nei grandi acceleratori di particelle e la levitazione magnetica come per i treni maglev.

Solo dieci persone sanno perché ho scritto questo post.

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(frammenti di) lezioni di giornalismo scientifico per beginners. come me. /2

Come scrivere un articoletto

«Quando scrivi un pezzo devi assolutamente evitare due situazioni estreme. Da una parte dire cose inutili o addirittura false, in modo superficiale e confuso e dall’altra scrivere con un linguaggio freddo e tecnico, dando per scontato dei passaggi che invece possono capire solo gli addetti ai lavori rispetto al tema che hai scelto. Nel mezzo di questi estremi c’è il giornalismo.» «Un’arte.» «Perché no? Certo è una professione. Man mano poi affini le tecniche, sviluppi uno stile e diventi svelta.»

«Sì vabbè ma adesso andiamo sul pratico. Se tu dovessi riassumere come si scrivono quelle news che si leggono sui giornali, quelle da 1200 a 1800 battute, come faresti?»

«…mi viene in mente una storia emblematica da raccontare.» «Quale?» «A febbraio di quest’anno sulla rivista PNAS esce uno studio di Luca Dall’Asta e altri, dal titolo “Collaboration in social networks”: è accattivante per chi fa questo mestiere, non stupisce quindi che sia uscito sui giornali.  Leggi la versione pdf che gli autori avevano archiviato su una piattaforma a libero accesso…fatto?» «Ho appena finito l’abstract» «Ecco e indovina che hanno scritto sui giornali per descrivere questa ricerca?» «Senti, mi spiace ma ora devo andare, pensavo fosse una cosa breve» «Lo sai che “su facebook siamo tutti egosti”?» «Ma che dici?» «“Facebook rende egoisti”» «Stai delirando o cosa?» «Lasciami finire la storia e capirai, quelli su per giù erano i titoli degli articoli. Leggi anche tu, te ne ho selezionati cinque, chiamiamoli A, BCDE»

«Mhmmm… sto leggendo anche quello che c’è scritto dopo no…il problema non è solo nei titoli, cioè mica intendevano questo i ricercatori.» «Infatti è così. Comunque ammettilo, quei titoli attirano l’attenzione.» «Sì, in effetti incuriosiscono molto. Ma quindi anch’io devo fare così?» «Eh no! Il titolo deve attirare il lettore ma guai a scrivere false stupidaggini.

Le cose devono essere andate in questo modo. Esce A, il comunicato ANSA. Alcuni lo riprendono e nel peggiore dei casi lo copincollano senza aggiungere altro come è successo in B, l’articolo del corriere.it.» «No come? Il corriere.it mi sembrava così serio.» «Sì, succede pure nei migliori giornali.  Anche C e D hanno ripreso la notizia ANSA e ci hanno ricamato qualche fronzolo intorno.»

«Certo che anche E è imbarazzante, quanta inutile fuffa!» «Sì adesso però non facciamo i saccenti. » «Hai ragione, se leggo meglio lo studio, anche dopo l’abstract, mi rendo conto che il senso della ricerca è stato travisato da quegli articoli ma confesso che non l’ho capito bene neanch’io.»

«Ecco allora tornando a come si scrive una notizia breve, se supponiamo che conosci tutto il discorso (indispensabile) delle fonti, direi che a grandi linee lo schema da seguire è questo»

«Devi scrivere una news sul quel paper?» «Eh ci pensavo, per esercizio.» «Hai tempo?» «No»…FINE

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(frammenti di) lezioni di giornalismo scientifico per beginners. come me. / 1

«Vuoi fare la giornalista? La sfida è capire gli aspetti fondamentali di una situazione complessa.» «Solo?» «No. Li devi inquadrare e mettere in ordine dal più importante a quello che poi alla fine puoi anche tagliare. Ma mi raccomando devi esprimerti con chiarezza, sono vietati tecnicismi e periodi involuti.» «Ok» «No aspetta, non è finita. Devi riuscire a farlo in poco tempo, a volte pochissimo». «D’accordo, ci proverò.»  E poi…» «Oddio che c’è ancora?» «Bisogna essere catching…» «Cioè?» «Il tuo linguaggio deve essere fresco e pieno di ritmo. Cerca di usare delle metafore e ogni tanto strizza l’occhio al lettore che non guasta, capito?» «Scusa ma io voglio scrivere di scienza» «Ah beh, allora prendi tutto quello ho detto e elevalo al quadrato.» «Ma veramente…io pensavo…» «Senti più o meno le cose stanno così, non te l’ha mica ordinato il medico di fare questa scelta. È un lavoro bellissimo, ma ci sono delle regole.»

PS Leggete il commento qui sotto, conclude alla grande.

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La matematica che prevede il futuro

Che si tratti di traffico di persone, di macchine, di trasmissione di dati, di catene di produzione o altro, noi siamo immersi in flussi su reti. Comprendere i fenomeni legati ai flussi, analizzarli e controllarli, è fondamentale quando si deve progettare una rete e prendere decisioni che rendano lo scorrimento più fluido possibile. E come si fa? Con dei modelli matematici, cioè delle rappresentazioni esemplificative della realtà. In pratica del fenomeno che si vuole studiare si scelgono alcune caratteristiche che si ritengono indicative e misurabili, poi attraverso delle equazioni si esprimono le relazioni che queste hanno fra loro e con alcuni parametri da cui dipendono. Cambiando alcuni valori a tali parametri si può simulare una particolare situazione e capire che conseguenze possono esserci, si possono studiare come variano le caratteristiche nel tempo, in altre parole si può prevedere il futuro.

I modelli fluidodinamici, che descrivono i flussi su reti, hanno alla base delle leggi di conservazione. Queste sono particolari equazioni differenziali a derivate parziali, cioè che indicano ad esempio come varia nel tempo una funzione che dipende sia dal tempo sia dalla posizione. Questo articolo offre un quadro dettagliato e approfondito sulle leggi di conservazione dei modelli fluidodinamici e sulle loro applicazioni. In generale si parla di leggi di conservazione dove c’è una quantità che si conserva, come accade al numero di auto che transitano in strade senza entrate né uscite nei modelli di traffico. In questi in particolare possiamo capire come varia nel tempo la densità delle auto, cioè il numero di macchine per chilometro e che effetti si hanno in particolari situazioni come la presenza di un incidente o di un semaforo.

Negli ultimi anni la crescita delle possibilità fornite dai linguaggi di programmazione nella generazione di simulazioni al computer ha contribuito a rafforzare l’interesse per i modelli fluidodinamici. Non ci si può rendere conto di tutti i diversi aspetti nel loro insieme finché non si integrano i dati del modello con il calcolo effettivo. Spesso quindi i matematici che si occupano della forma delle equazioni lavorano in stretta collaborazione con i programmatori che sviluppano i software che rendono visibili i possibili effetti.

Si tratta comunque di modelli, quindi di approssimazioni della realtà che si possono rivelare del tutto sbagliati per descrivere un fenomeno. Nel ridurre la complessità infatti si possono commettere diversi errori, dalla scelta delle giuste variabili da considerare allo stabilire le corrette relazioni di dipendenza fra queste. Inoltre possono verificarsi eventi del tutto imprevedibili capaci di mandare all’aria qualunque schematizzazione. Nessun modello di traffico per esempio potrebbe mai includere un’infrazione come questa.

In ogni caso il motto largamente condiviso dagli studiosi che si occupano di modelli è “all models are wrong, but some are useful”. Utili sì, e a volte stravolgono anche il senso comune. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare il deflusso ottimale da un’area circoscritta non si ottiene sgombrando del tutto l’uscita ma mettendo alcuni ostacoli in opportune posizioni. Questa situazione è nota come paradosso di Braess.

Questi modelli allora aiutano a capire per esempio dove è meglio mettere un semaforo e quanto far durare la fase di un colore. Anche se però, pur comprendendo il vantaggio al flusso di traffico in generale, davanti a un semaforo rosso poi ognuno ha la sua personale reazione. Dura sempre troppo a lungo se si è in ritardo oppure è troppo breve come per questo struggente e surreale incontro di due ex amanti. Qualche volta a quelli che amano le favole di Rodari può anche capitare di sperare che scatti il blu.

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Occupy homeopathy

Lo confesso, a me la polemica contro l’omeopatia non ha mai scaldato. Non c’è un motivo particolare, semplicemente pur comprendendo le ragioni di chi sostiene che si tratti di una presa in giro, non riesco a farmi coinvolgere da questa battaglia culturale come invece mi accade per altre.

In questo video mi sono divertita provando a esprimere la più consistente critica che si fa all’omeopatia attraverso le ragioni della protesta del movimento Occupy Wall Street, che trovo molto interessante.

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“Sincera come l’acqua di un fiume di sera”

È domenica mattina e sei appena tornato a casa dal tuo consueto giretto di corsa, accaldato e ancora con un po’ di fiatone. Per prima cosa ti avventi in cucina, apri il rubinetto e ti chini a bere fino a placare la sete. Proprio quando ti stai asciugando la bocca con il dorso della mano, l’occhio ti cade su un articolo in prima pagina del giornale locale: venerdì notte le telecamere di sorveglianza hanno immortalato un uomo mentre urinava nel più grande bacino di acqua potabile della città. È questione di un attimo, guardi di nuovo il rubinetto e pensi «oddio che schifo!». Poi ti calmi e ti metti a ragionare ad alta voce «dunque vediamo, sta scritto che in quel serbatoio idrico ci sono 30 milioni di litri d’acqua». Vai verso il computer e intanto ti asciughi il sudore sulla fronte con il piccolo asciugamano che hai sul collo. Cerchi su Google e scopri che in media un uomo fa 300 millilitri di pipì. Fai una semplice divisione per capire che quel liquido organico, sia pur disgustoso, rappresenta circa un centesimo di milionesimo di tutta quell’acqua. «È come un decimo di secondo in un anno». Sei più sereno e così riprendi il giornale, a questo punto sei incuriosito e vuoi sapere chi è quel tizio. Continui a leggere e…«Cosa? 25000 euro per svuotare il bacino e riempirlo di nuovo! Ma siamo matti!». Non riesci proprio a capacitarti, tutti quei soldi pubblici spesi dagli amministratori comunali per una pipì. Ti è venuta di nuovo una gran sete, torni in cucina. Stavolta prendi un bicchiere, fai per riempirlo ma qualcosa ti frena. «Che hai? — pensi tra te e te — l’hai appena calcolato, è pipì certo, ma diluita in una quantità d’acqua così tanto più grande. Pensa solo alla quantità di arsenico o di altri veleni disciolti nell’acqua che di solito bevi». Sei convinto del tuo ragionamento, eppure apri il frigo e prendi una lattina di coca!

Questo post si ispira a fatti realmente accaduti.

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Intervista a Carlo Baccigalupi

Il satellite Planck ci permette di scoprire l’universo in modo nuovo, anche perché è in grado di captare onde a frequenze molto basse, che altri satelliti non possono cogliere. È come se fosse un potente televisore che riesce a sintonizzarsi su canali prima irraggiungibili . Le ultime due scoperte in particolare, enormi nubi di gas freddo e un misterioso alone luminoso, ce le racconta Carlo Baccigalupi, uno dei responsabili del Planck Data Processing Centre di Trieste.

Ho realizzato il video assieme a Elisa Corni e Alice Pace ed è stato pubblicato su oggiscienza.it.  Sull’onda dell’entusiasmo il giorno dopo ho montato il girato della giornata di un fisico. Ma questo è il primo servizio, quello che non si scorda mai.

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I quaternioni, numeri rivoluzionari

Intervista impossibile a William R. Hamilton (Dublino, 1805-1865)

Il più grande matematico del Regno Unito dopo Newton è senza dubbio William R. Hamilton. Vengo accolta nel suo studio al Trinity College di Dublino, dove subito rimango colpita dalle grandi librerie a parete. Negli scaffali, o sparsi qua e là, ci sono tanti libri di filosofia, letteratura e poesia accanto ai manuali di matematica e fisica.

Hamilton è considerato un fisico eccezionale. In questo incontro però vogliamo farci raccontare di persona il suo più significativo contributo alla matematica.

Prima di entrare nel merito del suo lavoro, mi piacerebbe sapere quando ha imparato così bene l’italiano.

Fin da bambino mi piacevano molto le lingue, già nel 1810 all’età di cinque anni sapevo leggere il latino, il greco e l’ebraico. Il merito va soprattutto a mio zio, ottimo insegnante, con cui ho trascorso gran parte della mia infanzia. Avevo imparato l’italiano anche prima dei quindici anni, insieme al francese, l’arabo, il sanscrito e il persiano.

Ricorda quando ha cominciato ad appassionarsi alla matematica?

Fu dopo l’incontro con Zerah Colburn, non ricordo di preciso quando. Potevamo aver avuto entrambi dodici anni all’epoca. Zerah era famoso perché riusciva a calcolare a mente con estrema velocità operazioni lunghe e complicate, era straordinario. Rimasi affascinato da lui e più in generale dalla matematica.

Sir Hamilton, lei in matematica è famoso per aver introdotto i quaternioni. Ce li potrebbe illustrare?

Devo fare una breve premessa sui numeri complessi, cioè coppie di numeri. Si usano per esempio per rappresentare i vettori del piano e fare operazioni su di essi.

Scusi se la interrompo, ma cosa sono i vettori?

Sono segmenti orientati o meglio parti di retta dotati di un verso, per intenderci si disegnano con delle frecce. Con i vettori si rappresentano per esempio la grandezza e la direzione di una forza o di una velocità. Ma torniamo ai numeri complessi, questi hanno un limite: se più forze agiscono su un corpo non è detto che stiano tutte su un piano ovviamente. Per poter operare con queste forze serviva perciò un’estensione tridimensionale dei numeri complessi e qui sta il problema.

Se i numeri complessi sono coppie di numeri, perché non considerare banalmente tre numeri al posto di due?

Le cose stanno in questo modo. Con i numeri complessi si possono fare le normali quattro operazioni e sono rispettate le solite proprietà: commutativa, associativa e distributiva. Purtroppo però con le terne numeriche questo non è possibile, non si riusciva a trovare il modo di estendere alle terne di numeri le normali operazioni che eravamo abituati a fare. Su questo problema ci siamo arrovellati in molti e per tanto tempo. Dio solo sa quanta fatica mi è costata. Dia un’occhiata lì, a tutti quei mucchi di carte, calcoli su calcoli per quindici lunghi anni. Era una questione che mi ossessionava.

È mai stato sul punto di abbandonare e non pensarci più?

I momenti di sconforto sono stati diversi e non nascondo che ad aumentare il senso di frustrazione ci si metteva anche uno dei miei figli che chiedeva regolarmente «Papà, sei riuscito a moltiplicare le triplette?» E io ero sempre costretto a rispondere «No, riesco solo a sommarle e sottrarle». Ma dopo anni di sforzi finalmente ho trovato la soluzione.

E qual è?

Quattro non tre! Ecco la chiave! Ho considerato numeri di quattro componenti, i quaternioni appunto e non di tre. Con questi nuovi numeri è possibile fare tutte e quattro le operazioni, a patto di scendere a un compresso e sacrificare la proprietà commutativa, una dolorosa rinuncia ma necessaria. È stato un po’ come tentare per anni di trovare il modo di giocare a tennis in tre e il modo è il doppio. Per far giocare a tennis tre persone in realtà ne servono quattro, ma alcune regole dal singolo al doppio sono diverse.

Ricorda il momento in cui le è venuta l’idea?

Non potrò mai dimenticarlo. È stato il 16 ottobre 1843, mentre passeggiavo accanto a mia moglie sul Brougham Bridge nella mia città natale, Dublino. Fu un attimo, sentii come un circuito elettrico che si chiudeva e faceva partire la scintilla. Tirai fuori un foglietto, che ancora conservo, dove annotai l’idea. In quello stesso istante mi resi conto che finalmente avevo risolto il problema e alleviato così un bisogno intellettuale.

Cosa prova adesso che vede i suoi quaternioni applicati nei campi più svariati, dalla meccanica quantistica alla grafica in 3D?

Mi rende davvero felice e sento come un pizzico di rivalsa. Molti fisici, a me contemporanei non compresero affatto l’importanza dei quaternioni, piuttosto li ignorarono. Io invece ero sicuro di aver trovato uno strumento potentissimo e ogni volta che ne vedo un’applicazione, provo una grande soddisfazione.

Note

Brougham Bridge è il nome con cui comunemente gli abitanti di Dublino indicavano il Broome Bridge

Fonti

M. Kline, “Storia del pensiero matematico”, Einaudi

http://www-gap.dcs.st-and.ac.uk/~history/Biographies/Hamilton.html

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Svelato il mistero dei neutrini che appaiono e scompaiono

Sembrano svanire nel nulla alcuni neutrini in viaggio, invece semplicemente si trasformano. Trovato l’unico angolo di oscillazione finora sconosciuto (theta-13) con cui un particolare tipo di neutrino si tramuta in un altro. La scoperta annunciata lo scorso 8 marzo, si deve agli scienziati del Daya Bay Neutrino Experiment Reactor, un progetto di ricerca internazionale che ha base a sud della Cina.

Che quest’angolo non sia nullo, come invece si temeva, fa capire meglio agli esperti in che modo i neutrini si trasformano, mescolandosi fra loro e inoltre potrebbe aiutare a sciogliere uno degli enigmi su cui più si arrovellano i fisici delle particelle, cioè perché c’è più materia che antimateria nell’universo attuale. Infatti il valore sensibilmente maggiore di zero dell’angolo theta-13 offre nuovi scenari per lo studio delle differenze fra le oscillazioni dei neutrini e quelle degli antineutrini, le loro corrispondenti antiparticelle dotate di carica opposta ma che per il resto hanno le stesse proprietà fisiche.

Ci sono tre specie di neutrini: elettronici, muonici e di tipo tau. Per ognuno di questi c’è la coniugata antiparticella. Il fenomeno dell’oscillazione dei neutrini da un tipo all’altro dipende dal fatto che la funzione d’onda che descrive un neutrino, ad esempio elettronico, ha dentro di sé dei “piccoli” pezzi di neutrini degli altri due tipi. Quindi c’è una certa probabilità, piccola ma non nulla, che durante il viaggio il neutrino iniziale diventi uno degli altri due.

In questo esperimento vengono emessi milioni di quadrilioni di antineutrini elettronici al secondo da due reattori nucleari, uno a Daya Bay e l’altro vicino a Ling Ao. Queste particelle sono intercettate nel loro viaggio da sei rilevatori, posti a una certa distanza uno dall’altro. Gli scienziati hanno confrontato il numero di antineutrini catturati dai rilevatori più vicini con quanti hanno effettivamente raggiunto il rilevatore più lontano, così hanno calcolato per differenza quanti antineutrini si sono trasformati.

I risultati sono eccezionali anche per la rapidità con la quale sono stati raggiunti, i dati analizzati emergono dall’osservazione di migliaia di interazioni di antineutrini elettronici avvenute dal 24 dicembre 2011 al 17 febbraio 2012. Questa volta super veloci sono stati proprio gli scienziati.

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