Intervista impossibile a William R. Hamilton (Dublino, 1805-1865)
Il più grande matematico del Regno Unito dopo Newton è senza dubbio William R. Hamilton. Vengo accolta nel suo studio al Trinity College di Dublino, dove subito rimango colpita dalle grandi librerie a parete. Negli scaffali, o sparsi qua e là, ci sono tanti libri di filosofia, letteratura e poesia accanto ai manuali di matematica e fisica.
Hamilton è considerato un fisico eccezionale. In questo incontro però vogliamo farci raccontare di persona il suo più significativo contributo alla matematica.
Prima di entrare nel merito del suo lavoro, mi piacerebbe sapere quando ha imparato così bene l’italiano.
Fin da bambino mi piacevano molto le lingue, già nel 1810 all’età di cinque anni sapevo leggere il latino, il greco e l’ebraico. Il merito va soprattutto a mio zio, ottimo insegnante, con cui ho trascorso gran parte della mia infanzia. Avevo imparato l’italiano anche prima dei quindici anni, insieme al francese, l’arabo, il sanscrito e il persiano.
Ricorda quando ha cominciato ad appassionarsi alla matematica?
Fu dopo l’incontro con Zerah Colburn, non ricordo di preciso quando. Potevamo aver avuto entrambi dodici anni all’epoca. Zerah era famoso perché riusciva a calcolare a mente con estrema velocità operazioni lunghe e complicate, era straordinario. Rimasi affascinato da lui e più in generale dalla matematica.
Sir Hamilton, lei in matematica è famoso per aver introdotto i quaternioni. Ce li potrebbe illustrare?
Devo fare una breve premessa sui numeri complessi, cioè coppie di numeri. Si usano per esempio per rappresentare i vettori del piano e fare operazioni su di essi.
Scusi se la interrompo, ma cosa sono i vettori?
Sono segmenti orientati o meglio parti di retta dotati di un verso, per intenderci si disegnano con delle frecce. Con i vettori si rappresentano per esempio la grandezza e la direzione di una forza o di una velocità. Ma torniamo ai numeri complessi, questi hanno un limite: se più forze agiscono su un corpo non è detto che stiano tutte su un piano ovviamente. Per poter operare con queste forze serviva perciò un’estensione tridimensionale dei numeri complessi e qui sta il problema.
Se i numeri complessi sono coppie di numeri, perché non considerare banalmente tre numeri al posto di due?
Le cose stanno in questo modo. Con i numeri complessi si possono fare le normali quattro operazioni e sono rispettate le solite proprietà: commutativa, associativa e distributiva. Purtroppo però con le terne numeriche questo non è possibile, non si riusciva a trovare il modo di estendere alle terne di numeri le normali operazioni che eravamo abituati a fare. Su questo problema ci siamo arrovellati in molti e per tanto tempo. Dio solo sa quanta fatica mi è costata. Dia un’occhiata lì, a tutti quei mucchi di carte, calcoli su calcoli per quindici lunghi anni. Era una questione che mi ossessionava.
È mai stato sul punto di abbandonare e non pensarci più?
I momenti di sconforto sono stati diversi e non nascondo che ad aumentare il senso di frustrazione ci si metteva anche uno dei miei figli che chiedeva regolarmente «Papà, sei riuscito a moltiplicare le triplette?» E io ero sempre costretto a rispondere «No, riesco solo a sommarle e sottrarle». Ma dopo anni di sforzi finalmente ho trovato la soluzione.
E qual è?
Quattro non tre! Ecco la chiave! Ho considerato numeri di quattro componenti, i quaternioni appunto e non di tre. Con questi nuovi numeri è possibile fare tutte e quattro le operazioni, a patto di scendere a un compresso e sacrificare la proprietà commutativa, una dolorosa rinuncia ma necessaria. È stato un po’ come tentare per anni di trovare il modo di giocare a tennis in tre e il modo è il doppio. Per far giocare a tennis tre persone in realtà ne servono quattro, ma alcune regole dal singolo al doppio sono diverse.
Ricorda il momento in cui le è venuta l’idea?
Non potrò mai dimenticarlo. È stato il 16 ottobre 1843, mentre passeggiavo accanto a mia moglie sul Brougham Bridge nella mia città natale, Dublino. Fu un attimo, sentii come un circuito elettrico che si chiudeva e faceva partire la scintilla. Tirai fuori un foglietto, che ancora conservo, dove annotai l’idea. In quello stesso istante mi resi conto che finalmente avevo risolto il problema e alleviato così un bisogno intellettuale.
Cosa prova adesso che vede i suoi quaternioni applicati nei campi più svariati, dalla meccanica quantistica alla grafica in 3D?
Mi rende davvero felice e sento come un pizzico di rivalsa. Molti fisici, a me contemporanei non compresero affatto l’importanza dei quaternioni, piuttosto li ignorarono. Io invece ero sicuro di aver trovato uno strumento potentissimo e ogni volta che ne vedo un’applicazione, provo una grande soddisfazione.
Note
Brougham Bridge è il nome con cui comunemente gli abitanti di Dublino indicavano il Broome Bridge
Fonti
M. Kline, “Storia del pensiero matematico”, Einaudi
http://www-gap.dcs.st-and.ac.uk/~history/Biographies/Hamilton.html